Genzini: In che modo ti sei avvicinata alla musica ed in particolare al violino?
 
Bonaita: Non c'è stato un avvicinamento progressivo alla musica, ma un essere "all'interno" della dimensione sonora da sempre, in quanto l'ambiente familiare, in cui sono nata e cresciuta, è sempre stato caratterizzato dalla presenza quotidiana della musica e dalle arti, coltivate sia in termini professionali, sia come passione o interesse individuale o piacere da condividere, con modalità di ricezione e di approfondimenti diversi, ma comune a tutti i componenti. L'avvicinamento al violino, tuttavia, è stata una folgorazione personalissima, senza se e senza ma, dall'età dei cinque anni, potendo ricostruire, con una certa esattezza, il momento di questa accensione di lampadina in me: la visione e l'ascolto, dalla galleria di un teatro, della compagine orchestrale della Verdi, ora Sinfonica di Milano, intorno ai cinque anni. Da quel punto di osservazione, quasi a prospettiva d'uccello, mi colpì la consonanza tra la scia sonora e l'ondeggiare della sezione degli archi, in un bellissimo intreccio di danza in cui il suono diveniva gesto corporeo e viceversa - braccia, archi, dita lungo la tastiera - a costruire linee in continuo movimento tra loro. In questa immagine, così dinamica e nitida nella mente e che da sempre mi attira - sia che la si guardi dall'esterno, ovvero dal pubblico, sia che la si osservi dall'interno, per esempio in orchestra negli anni della mia formazione, o suonando in gruppi cameristici o infine nella veste di solista, in piedi sul palco - emergeva tuttavia alle mie orecchie infantili, in modo preponderante, il suono del violino. Un suono che ha caratteristiche, colori e capacità espressive così diversificate tra loro da pungermi qualcosa dentro, fin da bambina, con emozioni molto forti. Da lì, ho iniziato a chiedere con insistenza di poter possedere e suonare il violino, con un approccio iniziale molto morbido e di gioco, e man mano, direi dall'Allegro di Joseph Fiocco, che per me era il ritratto compiuto della felicità, iniziare veramente a studiare. Ricordo sempre le prime idee che mi avevano molto colpito: pensare al mio strumento, di cui ammiravo la bellezza del riccio con le sue volute, che accarezzavo lievemente con le dita, come un'estroflessione del mio corpo o come il ramo di un albero, con i piedi ben piantati a terra, proteso verso il cielo. Questo approccio così "naturalistico", appartenente a un mondo di natura fantastico e pieno di magia, colpì certamente la mia immaginazione, che è sempre stata molto fervida nell'inventare storie. Sono stata accompagnata da una visione interpretativa, nell'analisi dei brani da studiare, sempre molto legata all'aspetto narrativo e ideativo, cercando di raccontare qualcosa, come se il violino fosse la mia voce, o più voci, intente a riferire un racconto.
 
Genzini: Quali sono stai i momenti salienti della tua crescita artistica ?
 
Bonaita: L'incontro con i Maestri credo sia il momento più significativo, sempre, nella vita di un giovane musicista, e non solo. È un modo di pensare qualsiasi disciplina, in questo caso la musica e gli aspetti della prassi violinistica e interpretativa, ma vale per tutte le arti performative o creative, avendo molto ben in mente, da un lato, il rispetto di ciò che è stato scritto da quel particolare compositore e perché, con tutto il suo portato personale e culturale, analizzato insieme al didatta sotto la lente di un microscopio elettronico, tanto deve essere minuta l'attenzione su ogni componente della struttura musicale ed esecutiva; d’altro canto, è anche la bellezza di trovare referenti che ti accompagnino nel percorso di apprendimento, attraverso la rielaborazione e maturazione delle idee, grazie a spunti ogni volta differenti su cui poter riflettere, senza necessariamente possedere una sola ricetta "giusta". Questo incontro, o una seriazione di incontri, a mio parere, fanno la differenza e, ovviamente, non è sempre facile, entro un percorso che parte generalmente in età infantile o giovanile. Io posso dire di essere stata all'interno di un circuito molto virtuoso, assorbendo con grande attenzione non solo le sollecitazioni didattiche, ma anche il modello valoriale di grandi artisti, didatti, che hanno fatto della musica un'etica profonda, con la loro dedizione, fatica, urgenza espressiva, piuttosto imprescindibile e che può corrispondere a un valore fondante del proprio essere nel mondo, di carattere generale. A partire certamente dalla figura di Sergej Krylov, grandissimo artista e persona estremamente colta musicalmente, che considero a tutt'oggi il mio mentore e più grande motivatore e che ha seguito le varie tappe, scandite nel tempo, della mia crescita artistica. Tuttavia, sono molte le figure che riconosco, ciascuno con le proprie specificità, e con mia profonda gratitudine, quali co-autori di un progetto articolato sulla mia persona, in diversi momenti e tappe della mia formazione, quale violinista e musicista in senso più ampio, attraverso lo studio delle varie discipline d'indirizzo. Mi sento di ricordare, nella mia crescita personale, le figure che mi hanno fortemente motivato al contrario, volendo io dimostrare loro che si sbagliavano sul mio conto. Spesso è proprio da certe frustrazioni, cocenti, che ti paiono ingiuste o immotivate o difficili da superare, in un certo momento, che nascono in noi forze apparentemente impensabili e che diventano nuove ali per raggiungere risultati di eccellenza. Inoltre, ciò che ritengo scandisca la crescita artistica di un giovane musicista, al di là del raggiungimento di titoli di studio, d'eccellenza sempre più mirati e specifici, è il palco. Qualunque palco. Perché ciò che poi ti insegna il palco, il mestiere appunto, non te lo insegna nessuno. E, come diceva un grande Maestro, c'è sempre, anche in una piccola sala semivuota, o in un teatro sghembo, qualcuno per cui valga la pena di suonare bene, anzi benissimo. Certo, l'energia che si prova a suonare da solisti con un organico di grande orchestra (come è stato per me il concerto di Zimmermann) su un palco come il LAC di Lugano, sold out, tirando fuori dal tuo strumento un suono capace di sostenere una tale massa sonora alle tue spalle, non ha eguali; specie se poi scopri, casualmente, che nella pagina prima o in quella successiva alla presentazione del tuo concerto, con la tua foto in evidenza, campeggia quella di uno dei tuoi idoli violinistici; oppure quando sei nello stesso cartellone, come mi è capitato per la Rassegna MITO, in cui è invitato anche il tuo Maestro. Allora, ti viene voglia di abbassare la testa e studiare ancora di più, per essere all'altezza di una possibilità così grande, vivendola al meglio, per se stessi e il pubblico. Il fine ultimo, di tanta fatica, è solo il poter comunicare qualcosa a qualcuno che lo riceva e la possibilità che lui stesso muti, in quell'istante di ascolto, con una reciprocità di intenti. Quello che Platone chiamava “la catena degli affetti@, dal compositore al pubblico.
Genzini: Quali caratteristiche deve avere il suono "ideale" del tuo violino?
 
Bonaita: Non credo esista. Risponderei, di primo impatto, quel suono che "ti entra dentro". Un po' come il vibrato. Quel vibrato che entra in risonanza con chi l'ascolta e lo avverte come emotivamente consono al proprio battito cardiaco e respiro di quel momento, come mi ha sempre detto Dmitri Chichlov; consono a quel tipo di atmosfera sonora o racconto. Per questo il vibrato è considerato uno strumento fondamentale nell'espressività e nella differenziazione del tessuto sonoro, della linea o del carattere musicale. Tuttavia, al di là del valore e delle possibilità dello strumento, ciascuno, è noto, ha il proprio suono, che fuoriesce come frutto di tante variabili su cui lavorare a vita. L'ideale è cercare, quanto più possibile, di far sovrapporre il suono che si ha in mente con quello che si riesce a produrre, lavorando incessantemente con l'ascolto proprio e quello del suono dei grandi interpreti. Quel momento, su ogni musicista lavora ogni giorno, se accade, allora diviene magia. E in fondo, ognuno suona com'è dentro, con tutta la sua ricchezza di vissuto personale e di esperienze “altre”, oltre la musica. Di questo, ne sono sempre più consapevole. 
 
Genzini: Che repertorio ami maggiormente interpretare?
 
Bonaita: Risposta particolarmente difficile per me, che amo molto spaziare tra ambiti diversificati. Sono una persona molto concentrata sull'imparare il "nuovo" da me, mettendomi alla prova con nuovo repertorio. Il musicista è anche un attore sul palco e presta la sua voce, di volta in volta, a chi o cosa rappresenta in quel momento. In questo senso, lo studio, e la capacità di avere, metaforicamente, "tanti abiti di scena diversi" nel proprio baule, è a mio parere un obiettivo da prefiggersi nel corso del tempo, che contempla l'acquisizione di una ricchezza di colori diversi. Il che non significa essere dei "mangia repertori" e basta: la severità con se stessi, davanti al leggio, è un'attitudine imprescindibile è durissima, altrimenti non si va da nessuna parte. Tuttavia, accogliere di suonare del nuovo repertorio consiste nell'avere il coraggio di mettersi alla prova, con grandissima umiltà e puntare a fare, di quel nuovo, qualcosa che ti rappresenti, apportandovi la propria cifra stilistica e ogni volta in modo differente, spaziando anche tra stili molto lontani tra loro. Ciò significa sperimentare, attivando più skills possibili, per avere qualcosa di personale da dire alla musica. Ci sono tipologie di violinisti, e musicisti in generale, ciascuno con i propri pregi, che corrispondono a un approccio verso l'arte differente e che è molto interessante, per esempio, rivelare nelle registrazioni effettuate dagli stessi, ma in differenti anni: da un lato coloro che cristallizzano nel tempo una loro interpretazione "ideale" di un brano, in un'ottica di incessante tensione verso quella perfezione; altri, invece, prediligono mutare il proprio percorso artistico sul medesimo brano, come frutto di una ricerca personale e che "diviene" nel tempo, arricchendosi ogni volta di sollecitazioni diverse e su palchi diversi, in momenti del proprio percorso diversi. Da entrambe le posizioni, bisognerebbe credo attingere per mettersi sempre nella condizione di aspirare alla migliore esecuzione possibile ma in un'ottica di ricerca continua e mai paga. Ciascuno di noi ha zone di repertorio più o meno di conforto e in cui si riconosce, che predilige suonare e riproporre al pubblico per il quale, il "riconoscimento sonoro", è un tema caro ed è ciò rende difficile sperimentare, acusticamente, nuovi orizzonti. Per mia sensibilità, amo in particolare il repertorio di area russa, Il Novecento storico occidentale tutto, in particolare i concerti solista e orchestra (Prokofiev, Bartòk, Strawinsky, Shostakovich, Casella...) e il suo repertorio cameristico (ho appena suonato al Teatro Bibiena di Mantova i due trii di Shostakovich); infine la contemporaneità, una sfida molto complessa, che a volte ti permette d'instaurare un rapporto interlocutorio fattivo con il compositore.
 
Genzini: A quali progetti stai lavorando e quali saranno i tuoi impegni futuri?
 
Bonaita: Ho da poco terminato la registrazione, in duo con Saskia Giorgini, di un CD monografico per l'etichetta Brilliant Classics, contenente una selezione di brani per violino e pianoforte del compositore polacco Karol Szymanowski, redatti tra 1904 e il 1918 e che sarà distribuito dalla primavera prossima. Ci siamo appassionate all'idea di raccontare un incredibile viaggio di formazione di un artista molto eclettico, connotato da un'inquietudine interpretabile come la caratteristica propria dell'artista del primo Novecento, dibattuto tra la coscienza della frammentazione dell'io psichico, il sincretismo culturale e il dramma di gravi scenari politico-sociali. Il che, lo rende un autore molto affine alla sensibilità odierna. Ascoltare la sua musica oggi significa assaporare le molte atmosfere dei suoi viaggi in tutta Europa - Varsavia, Londra, Parigi, l'Italia e l'incredibile amore per la Sicilia, la Grecia - in Africa, nel Medio Oriente e negli Stati Uniti. Un grande serbatoio di idee eterogenee che si dispiegano tra le malinconiche atmosfere del Nord e i colori sensuali e appassionati del Sud. Oltre a questo progetto, che mi auguro di poter promuovere e far ascoltare dal vivo, ci sono in cantiere diverse proposte di concerti in giro per l'Europa, in veste solista e orchestra, e cameristica, unitamente al conseguimento di altri due Master Postgraduate, alla Folkwang Universität a Essen (DE) e all'Accademia del Ridotto a Stradella, tra primavera ed estate prossima. Il progetto più a cuore? Poter suonare il meraviglioso concerto di Alban Berg, che sto studiando ora.